INTERVISTE Parla Luca Cavalli Sforza,
genetista e grande divulgatore, a Trieste per l’assise
organizzata dall’Icgeb La scienza, antidoto contro il
razzismo Tra i ricercatori di spicco, Paul Bertone, autore di
uno studio avveniristico sul genoma
TRIESTE «Quando vengo a Trieste, al
Centro Internazionale per l’Igengneria genetica e le
biotecnologie (Icgeb), sono fiero di essere un ricercatore
italiano, cosa che normalmente non mi capita, perché la
Ricerca scientifica, in Italia, è ridotta all'osso a causa
della mancanza di fondi». Tagliente, chiaro, senza bisogno
di metafore. Luigi Luca Cavalli Sforza, genetista, grande
divulgatore, con una cattedra all'università di Stantford,
negli Stati Uniti, ha tenuto ieri a Trieste, all’Area di
Ricerca, il suo intervento nel corso del convegno sulla post
genomica, incontro organizzato per parlare della rivoluzione
scientifica provocata dalla mappatura del codice genetico. La
determinazione della sequenza del genoma umano, completata
alcuni mesi orsono, infatti, rappresenta una vera e propria
pietra miliare nella ricerca scientifica, e costituisce la
base di partenza per una futura comprensione delle basi
biologiche delle funzioni del nostro organismo, nonché dello
sviluppo di molte malattie. Conoscere il codice genetico,
infatti, significa potenzialmente riuscire a conoscere il
presente, il passato e il futuro della vita «biologica» di un
individuo, prevederne e curarne le possibili malattie. Luca
Cavalli Sforza in oltre sessant'anni di studi, ha applicato la
genetica alla storia, utilizzando gli studi sul genoma per
ripercorrere a ritroso nel tempo la storia dell'uomo, con
l'obiettivo di approdare, partendo dai nostri padri e dalle
nostre madri, all'origine stessa della vita. Ma, al di là
delle questioni scientifiche, dall'atrio di vetro e ferro
dell'Icgeb, Cavalli Sforza sottolinea il ruolo del centro di
biotecnologie che ha sede a Trieste: «Provo piacere ad essere
qui - dichiara - e vedere che i ricercatori lavorano bene, in
un ambiente sereno. Qui le cose funzionano, pur non spendendo
tantissimi soldi. Davvero, qui non ci si vergogna di essere
ricercatori italiani». E, ancora, sottolinea l'importanza di
occuparsi dei Paesi in via di sviluppo: «La crisi mondiale che
ci sta arrivando addosso è a mio parere un segnale importante
di cosa succede quando i Paesi in via di sviluppo sono
insoddisfatti del proprio ruolo e della propria posizione
nello scacchiere internazionale. Tutto ciò ha delle importanti
relazioni con il mondo scientifico, con la tecnologie e con
gli obiettivi e le speranze che questi Paesi hanno nei
confronti del futuro. Per questo dico che l'Icgeb lavora in un
settore importante, perché non solo si occupa di
biotecnologie, ma anche lo fa con uno sguardo partecipe e
rispettoso nei confronti dei Paesi invia di sviluppo, tenendo
conto delle aspettative e soprattutto del ruolo che essi
devono assumere, per favorire l'ulteriore sviluppo ed evitare
invece situazioni come quella che stiamo attualmente
vivendo». Nato nel 1922, laureatosi nel 1944 a Pavia,
Cvalli Sforza da cinquant'anni utilizza la genetica per
sopperire alla scarsità di prove archeologiche nello studio
delle origini dell'uomo. Uno studio lungo una vita, di cui ha
parlato ieri nel corso del suo intervento a Trieste, uno
studio giunto fino ad ora a importanti considerazioni. Lo
studio e l'analisi del Dna, infatti, ha permesso al quasi
ottantenne ricercatore italiano di ricostruire in dettaglio il
passato più remoto della storia dell'uomo. Lì dove non c'erano
più prove concrete, dove non si poteva scavare in siti
archeologici per ottenere risposta, si è passati all'analisi e
alla ricostruzione del dna. Così Luca Cavalli Sforza è giunto
a un passato che risale alle origini della nostra specie di
«homo sapiens», origini che lo scienziato ha circoscritto in
Africa. Nato africano, infatti, l'uomo è stato sempre
caratterizzato dalla volontà di viaggiare, quasi un istinto,
che ha portato i nostri antenati a spargersi per il mondo, e
colonizzarlo, il tutto in un arco di tempo molto ampio, che va
da 100 mila anni fa, con la prima migrazione verso il Medio
Oriente, fino a 800 anni fa, con la colonizzazione della Nuova
Zelanda e della Polinesia. Ma non basta. Fino a qui, gli
studi portati avanti da Cavalli Sforza sul fronte della
genetica hanno anche sgombrato il campo dalla possibilità di
dare un fondamento scientifico all'ideologia razzista. La
genetica, infatti, dimostra in maniera chiara che l'Uomo
appartiene a una sola e unica razza, affermazione dimostrata
dal fatto che la differenza genetica tra africani, europei,
cinesi e via dicendo è analoga in tutto e per tutto alla
variabilità genetica interna a ciascun gruppo, come dire che
esiste una razza sola, oppure ogni singolo uomo dovrebbe
appartenere a una sua razza privata. Tutto ciò, prima. Prima
della mappatura del codice genetico che ha aperto la strada a
nuovi orizzonti. «È evidente - ha dichiarato ieri Cavalli
Sforza - che la mappatura del genoma è esclusivamente un punto
di partenza, e non un punto di arrivo. La grande corsa, la
competizione portata avanti a livello internazionale ha fatto
credere alla gente che si doveva correre per ottenere un
risultato, e invece abbiamo appena ottenuto lo strumento.
Adesso, proprio adesso, si tratta di stabilire cosa facciamo
con questa montagna di conoscenza che abbiamo accumulato. Cosa
ne facciamo, come possiamo utilizzarla nel modo
migliore». Così, nelle due giornate di convegno, si sono
susseguite relazioni che hanno offerto ai ricercatori il
panorama generale, lo stato dell'arte dello studio della
genetica. Dalla visione culturale di Cavalli Sforza si è
passati ad analizzare metodologie e tecniche dello studio del
genoma, azioni concrete che vengono portate avanti in varie
parti del mondo, dalla Cina agli Stati Uniti per progredire
nella conoscenza, con l'obiettivo di capire i meccanismi che
regolano la vita. Tra gli scienziati di spicco che hanno
partecipato al meeting, anche Paul Bertone, dell'Università di
Yale. Nel corso dell'ultimo anno è riuscito a costruire una
superficie di un paio di centimetri di lato che riesce a
contenere tutte le proteine codificate dal genoma di un intero
organismo, nella fattispecie un lievito: «È difficile spiegare
a chi non è un genetista - ha dichiarato - quali implicazioni
possa avere il nostro studio. Posso dire che questo sistema ci
permette di guardare e studiare i fenomeni a un livello macro
e in uno spazio circoscritto, per cui vediamo dei fenomeni che
in natura sono difficilmente localizzabili. Questo ci fa
sperare bene per il futuro, visto che il nostro obiettivo è di
estendere questo studio, che riguarda la funzione di interi
genomi, anche al patrimonio genetico dell'uomo, che per
complessità è superiore di cinque volte a quello di un
lievito. Diciamo, insomma, che qui a Trieste abbiamo
presentato uno studio che a mio parere ha delle grosse
potenzialità per il futuro». Francesca Capodanno
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