mercoledì 17 ottobre 2001.


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INTERVISTE Parla Luca Cavalli Sforza, genetista e grande divulgatore, a Trieste per l’assise organizzata dall’Icgeb
La scienza, antidoto contro il razzismo
Tra i ricercatori di spicco, Paul Bertone, autore di uno studio avveniristico sul genoma


TRIESTE «Quando vengo a Trieste, al Centro Internazionale per l’Igengneria genetica e le biotecnologie (Icgeb), sono fiero di essere un ricercatore italiano, cosa che normalmente non mi capita, perché la Ricerca scientifica, in Italia, è ridotta all'osso a causa della mancanza di fondi».
Tagliente, chiaro, senza bisogno di metafore. Luigi Luca Cavalli Sforza, genetista, grande divulgatore, con una cattedra all'università di Stantford, negli Stati Uniti, ha tenuto ieri a Trieste, all’Area di Ricerca, il suo intervento nel corso del convegno sulla post genomica, incontro organizzato per parlare della rivoluzione scientifica provocata dalla mappatura del codice genetico. La determinazione della sequenza del genoma umano, completata alcuni mesi orsono, infatti, rappresenta una vera e propria pietra miliare nella ricerca scientifica, e costituisce la base di partenza per una futura comprensione delle basi biologiche delle funzioni del nostro organismo, nonché dello sviluppo di molte malattie.
Conoscere il codice genetico, infatti, significa potenzialmente riuscire a conoscere il presente, il passato e il futuro della vita «biologica» di un individuo, prevederne e curarne le possibili malattie.
Luca Cavalli Sforza in oltre sessant'anni di studi, ha applicato la genetica alla storia, utilizzando gli studi sul genoma per ripercorrere a ritroso nel tempo la storia dell'uomo, con l'obiettivo di approdare, partendo dai nostri padri e dalle nostre madri, all'origine stessa della vita.
Ma, al di là delle questioni scientifiche, dall'atrio di vetro e ferro dell'Icgeb, Cavalli Sforza sottolinea il ruolo del centro di biotecnologie che ha sede a Trieste: «Provo piacere ad essere qui - dichiara - e vedere che i ricercatori lavorano bene, in un ambiente sereno. Qui le cose funzionano, pur non spendendo tantissimi soldi. Davvero, qui non ci si vergogna di essere ricercatori italiani». E, ancora, sottolinea l'importanza di occuparsi dei Paesi in via di sviluppo: «La crisi mondiale che ci sta arrivando addosso è a mio parere un segnale importante di cosa succede quando i Paesi in via di sviluppo sono insoddisfatti del proprio ruolo e della propria posizione nello scacchiere internazionale. Tutto ciò ha delle importanti relazioni con il mondo scientifico, con la tecnologie e con gli obiettivi e le speranze che questi Paesi hanno nei confronti del futuro. Per questo dico che l'Icgeb lavora in un settore importante, perché non solo si occupa di biotecnologie, ma anche lo fa con uno sguardo partecipe e rispettoso nei confronti dei Paesi invia di sviluppo, tenendo conto delle aspettative e soprattutto del ruolo che essi devono assumere, per favorire l'ulteriore sviluppo ed evitare invece situazioni come quella che stiamo attualmente vivendo».
Nato nel 1922, laureatosi nel 1944 a Pavia, Cvalli Sforza da cinquant'anni utilizza la genetica per sopperire alla scarsità di prove archeologiche nello studio delle origini dell'uomo. Uno studio lungo una vita, di cui ha parlato ieri nel corso del suo intervento a Trieste, uno studio giunto fino ad ora a importanti considerazioni. Lo studio e l'analisi del Dna, infatti, ha permesso al quasi ottantenne ricercatore italiano di ricostruire in dettaglio il passato più remoto della storia dell'uomo. Lì dove non c'erano più prove concrete, dove non si poteva scavare in siti archeologici per ottenere risposta, si è passati all'analisi e alla ricostruzione del dna. Così Luca Cavalli Sforza è giunto a un passato che risale alle origini della nostra specie di «homo sapiens», origini che lo scienziato ha circoscritto in Africa. Nato africano, infatti, l'uomo è stato sempre caratterizzato dalla volontà di viaggiare, quasi un istinto, che ha portato i nostri antenati a spargersi per il mondo, e colonizzarlo, il tutto in un arco di tempo molto ampio, che va da 100 mila anni fa, con la prima migrazione verso il Medio Oriente, fino a 800 anni fa, con la colonizzazione della Nuova Zelanda e della Polinesia.
Ma non basta. Fino a qui, gli studi portati avanti da Cavalli Sforza sul fronte della genetica hanno anche sgombrato il campo dalla possibilità di dare un fondamento scientifico all'ideologia razzista. La genetica, infatti, dimostra in maniera chiara che l'Uomo appartiene a una sola e unica razza, affermazione dimostrata dal fatto che la differenza genetica tra africani, europei, cinesi e via dicendo è analoga in tutto e per tutto alla variabilità genetica interna a ciascun gruppo, come dire che esiste una razza sola, oppure ogni singolo uomo dovrebbe appartenere a una sua razza privata. Tutto ciò, prima. Prima della mappatura del codice genetico che ha aperto la strada a nuovi orizzonti.
«È evidente - ha dichiarato ieri Cavalli Sforza - che la mappatura del genoma è esclusivamente un punto di partenza, e non un punto di arrivo. La grande corsa, la competizione portata avanti a livello internazionale ha fatto credere alla gente che si doveva correre per ottenere un risultato, e invece abbiamo appena ottenuto lo strumento. Adesso, proprio adesso, si tratta di stabilire cosa facciamo con questa montagna di conoscenza che abbiamo accumulato. Cosa ne facciamo, come possiamo utilizzarla nel modo migliore».
Così, nelle due giornate di convegno, si sono susseguite relazioni che hanno offerto ai ricercatori il panorama generale, lo stato dell'arte dello studio della genetica. Dalla visione culturale di Cavalli Sforza si è passati ad analizzare metodologie e tecniche dello studio del genoma, azioni concrete che vengono portate avanti in varie parti del mondo, dalla Cina agli Stati Uniti per progredire nella conoscenza, con l'obiettivo di capire i meccanismi che regolano la vita.
Tra gli scienziati di spicco che hanno partecipato al meeting, anche Paul Bertone, dell'Università di Yale. Nel corso dell'ultimo anno è riuscito a costruire una superficie di un paio di centimetri di lato che riesce a contenere tutte le proteine codificate dal genoma di un intero organismo, nella fattispecie un lievito: «È difficile spiegare a chi non è un genetista - ha dichiarato - quali implicazioni possa avere il nostro studio. Posso dire che questo sistema ci permette di guardare e studiare i fenomeni a un livello macro e in uno spazio circoscritto, per cui vediamo dei fenomeni che in natura sono difficilmente localizzabili. Questo ci fa sperare bene per il futuro, visto che il nostro obiettivo è di estendere questo studio, che riguarda la funzione di interi genomi, anche al patrimonio genetico dell'uomo, che per complessità è superiore di cinque volte a quello di un lievito. Diciamo, insomma, che qui a Trieste abbiamo presentato uno studio che a mio parere ha delle grosse potenzialità per il futuro».
Francesca Capodanno


                                        

 
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